giovedì 27 agosto 2009

Antonella è amareggiata

L'affacciarsi del XXI secolo ha sancito il mio progressivo distacco da una stagione che, un tempo, amai.
Negli anni '80, era consolidata abitudine lasciar deserte le aule delle scuole elementari (quando ancora c'era il maestro unico e volavano schiaffi non troppo teneri) entro il 31 maggio. Quella manciata di giorni di giugno veniva rifiutata a priori, perchè già programmata per il trasloco al mare, andando avanti sino al penultimo giorno di vacanza e presentandosi al primo giorno di scuola con la sfrontatezza di una piccola selvaggia, reduce dalle avventure di Robinson Crusoe. 100 tuffi non bastavano, e la litania quotidiana era "Papà, dai...l'ultimo", mentre il povero genitore minacciava, dal belvedere, l'abbandono. Al mare due volte al dì, aspettando con ansia che la siesta famigliare avesse termine per tornare al piccolo parco giochi acquatico. Quei sandaletti in gomma cambiavano colore ogni anno, rendendo i piedini come piccole tartarughe color caffellatte. La vanità infantile non andava oltre qualche prendisole in ciniglia, e l'ingenuità si crogiolava in innocenti topless da settenne. Poi c'erano i polaretti, nel pomeriggio, e di notte le zanzare erano ancora zanzare, piuttosto che sanguinari killer. Lo scirocco aveva il pregio di vivacizzare il mare, invitando a spericolatezze tra i cavalloni, piuttosto che prostare l'animo ed il corpo in un costante senso d'asfissia e di spossatezza.
Quando si rientrava in città, silenzio e lacrimuccia, sinchè non arrivava Natale, carico di doni e promesse. E dopo l'inverno, già ad aprile, un nuovo fermento.
Vent'anno dopo. Una laurea conseguita precocemente, ed il caso, impastato con un q.b. di libero arbitrio, mi ancora qui. Tendenzialmente democratica, ho sempre aberrato l'odio dei compatrioti allocati da Roma in su verso noi, invece, umidificati dallo scirocco del Mediterraneo. 
Però ho abbandonato un attimo le afose lande natie per il piacere del viaggio, mi sono confrontata più volte con amici abituati al gelo, non ho mai indossato un paraocchi, ed ho vissuto, con sempre più naturale acquisizione di consapevolezza, il mio territorio. 
Non sono un'eroina romantica che, demagogicamente, abbraccia la causa della secolare "questione meridionale" e decide di restare per amor della sua terra.
Sono innamorata, all'oggi, soltanto della mia famiglia e del mio compagno. La mia relazione con questo territorio è, da tempo, compromessa. C'è stato un tempo, quello delle false speranze, delle opportunistiche promesse, dell'impegno profuso in nome di un'appartenenza mai rinnegata, in cui il nostro rapporto era complicato. Ma, attualmente, questo rapporto è freddo, come quello di una figlia incompresa e sottovalutata. Come me, tanti. Come Antonella, anche.
Ma la storia di Antonella, da Padova, tornata in punta di piedi, quasi da turista, con, forse, la timida illusione di poter ricucire uno strappo durato 25 anni, non ha un lieto fine. Ed allora mi viene il sospetto, e non per amor d'apocalisse, che qui, nei secoli dei secoli, la quotidiana commedia non sia altro che la facciata invitante di una più incalzante tragedia sociale e culturale.
E non per amor di nichilismo.

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