martedì 8 giugno 2010

Pausa pranzo con me stessa


Quando sono rientrata da Barcellona, poco più di una settimana fa, ho trovato incise, sulla zanzariera della mia stanza, le iniziali del mio nome, con lo spray color muschio natalizio. Evidentemente mia madre avrà approfittato della mia assenza per svuotare il cassetto della scrivania, e mio padre (sì, dopo che tutti hanno negato, non può essere che lui), si è divertito un pò. Un gesto surreale e non sense, ma le iniziali continuano a giacere lì.
Apprezzo questi deliri domestici, subiti mio malgrado, e li rispetto, come possibilità di sopravvivenza in un inferno d'acciaio e afa nel quale ci si trova scaraventati a vivere.
Oggi non sono tornata a casa per pranzo, ed ho optato per una soluzione fresca nel Borgo Antico.
Giusto il tempo d'attraversare il Ponte Girevole, e mi ritrovo nel centro. Parcheggio nei pressi di Piazza Garibaldi. Fa caldissimo, ma stoicamente prendo un espresso caldo. Dopo, forse, opterò per il gelato, che sarà, invece, un freddolone all'amarena condiviso con il mio compagno.
Mentre sorseggio il caffè nel bar semi-deserto, sento un vociare alla cassa: è un uomo che chiede di cambiar 50 euro in tagli più piccoli. Non mi pare un gesto di rilevante importanza, e ciò che mi resta di questa scena è soltanto il colore della camicia di quest'individuo. Esco dal bar, e ritrovo quella stessa sfumatura di tessuto che si agita dinanzi alla grata di una farmacia. Focalizzo meglio: gli uomini, per nulla messi bene, sono tre, e chiedono con insistenza qualcosa che viene loro negato. Il cantilenare è tipicamente oppiaceo. Sì, a Taranto ci sono i tossici. Ed alle 14.15 di un giorno di giugno implorano aghi ai farmacisti terrorizzati. Nell'altro bar di poco distante, ai tavolini, sotto il gazebo fintamente chic, un'umanità di lino vestita consuma il suo pasto veloce parlando d'affari. Fumo una sigaretta, osservando quest'altro tassello del complesso e ruvido mosaico sociale nel quale nuoto con un bracciolo solo (non me la sento d'abbandonarli entrambi).
Decido di fare un giretto da Zara. Anche qui, poche fanciulle coi sandali e le gambe abbronzate. Io, nel mio fuseaux blu, sono ancora candida, a qualche giorno dalla possibilità di mutar (ma nemmeno tanto) pelle.
Nulla mi convince troppo. Qualcosa mi piace abbastanza. Ma l'irrinunciabile non c'è.
Sono le 14.38. Alle 15.00 si ricomincia. La strada non è troppa. Però la voglio percorrere con calma, metabolizzando e accettando l'idea d'essere parte di questo Tutto sghembo, la cui strada esplode di improbabili esistenze, mentre tutti siedono a tavola a guardare il tiggì locale.


giovedì 20 maggio 2010

La poltrona empatica

18 maggio.
Taranto, Piazza della Vittoria, poco prima delle 23, come recita il Corriere del Giorno.
Non ho avuto modo d'acquistare il quotidiano, ma ho ricevuto il link della discussione aperta su Facebook, sulla bacheca del giornale.
La bottiglia di birra vuota, lo ammetto, non mi esalta. Non è mia abitudine produrre rifiuti e lasciarli in luoghi pubblici. La presenza di quella poltrona, invece, mi fa sorridere di flebile speranza. E mi fa scuotere con rassegnazione il capo, di fronte all'evidente, ennesimo autogoal di una Pubblica Amministrazione che boccheggia tra l'incomprensibilità degli atti e l'urgenza di andare a fare la spesa.
Di sera, dopo cena, passeggerei sempre, se solo me ne fosse concessa la possibilità.
La prospettiva d'andare a posare i glutei per tre ore sulla sedia di un localino, a sbevazzare e ingurgitare noccioline americane, mi procura un fastidioso senso d'asfissia.
Mangerei volentieri il mio gelato al centro di una piazza gremita, piuttosto che sedendomi al tavolino triste di una gelateria.
Me ne andrei a leggere e organizzare il lavoro, nella pausa pranzo, all'aria aperta, senza preoccuparmi delle occhiate spudoratamente interrogative dei passanti.
Potrei fare tranquillamente a meno del cellulare e dei social network, per sapere dove sono i miei amici, piuttosto che cercarli nell'etere o in un intasato locus virtuale.
Sinteticamente, auspico la normalità.
Una normalità non troglodita, rannicchiata sul glorioso ricordo di un tempo che fu e che ciclicamente mi viene raccontato dai più grandi che vi parteciparono.
Un continuum di cui quella poltrona è  rivendicazione di un diritto: il diritto di fruire dello spazio pubblico, miseramente arredato con panchine incandescenti d'estate e gelide d'inverno. E nient'altro.
Non sto pensando nemmeno alla non-bellezza dell'arredo, poichè anche l'estetica non è univoca ed unidirezionale, ma colgo e gioisco di un gesto creativo ed empatico.
La poltrona raccattata arreda una piazza immiserita d'umanità e porge una seduta confortevole a tutti.
La poltrona è creativamente di tutti.
E quel monopolio appiccicato dalle cimici ai nuovi poveri ed ai sinistroidi è l'ennesimo escamotage per ingoiare il frutto con tutto il nocciolo del problema, perdendosi nelle lande desolate di un perbenismo che stringe sempre più il cappio al collo, piuttosto che allentarlo.

venerdì 8 gennaio 2010

Sissignore, i miei ossequi.



"Oh, sissignore, le porgo i miei più cordiali ossequi. Ritengo il suo operato da sempre fiore all'occhiello per questo nostro territorio, uh, vilipeso, svuotato dalla fuga dei cervelli, incenerito da questi teppistelli del borgo antico, e poi l'Ilva, ohhhhhhhhh, sì, ma i bambini del Quartiere Tamburi, ma sa, mi adopero per loro, ma quanto mi dispiace, la colpa è anche della scuola. Però ce la faremo, sì, insieme, sa. Penso che se solo mi desse una possibilità..sì, guardi, legga il mio scritto, perdoni qualche errore d'ortografia, sa com'è, mi emoziona sempre scrivere (sic!), è catartico, certo. Scrivere è la mia passione. Già dalla prima elementare, anzi no, dall'asilo, essì, perchè fui un prodigio, sempre mi appassionarono i temi. Oh, ma poi, al Liceo* ho preso la maturità con 60 sessantesimi. La lode, in seduta di laurea, non la ebbi perchè la Commissione non mi capì. Sì, sono un incompreso/a. Ma lei mi capirà."

(dal Manuale dell'alpinista socio-culturale, Ed. Lacchè, 2010, già edito nella collana Il giornalaio che voleva diventare giornalista, Ed. Vilipesi Riuniti, 2009)