martedì 1 dicembre 2009

Vado, mi ammazzo e non torno Vs Non vengo, sopravvivo e re(si)sto



28 novembre 2009. Alta Marea second act. Ci si aspettava un’affluenza stimata intorno alle 20.000 unità. Eravamo 10.000, 15.000, davvero 20.000, o forse anche più? Difficile definire con certezza, ma di sicuro non si era in pochi. E talune vacanze raramente erano giustificate da una sorta di diffidenza, rispetto alla giusta causa. Non troppe quelle persone animate, come kamikaze, dall’amore della diossina, sentimento fomentato da un’antica ed atavica tendenza, tutta borbonica, al vassallaggio verso il Padrone tossico. Qualcuno, consapevole dell’oscura nebulosa che pende sul nostro futuristico cielo, ma in preda al timor panico di non poter nemmeno più distinguere i contorni di un possibile futuro, pena il licenziamento. Ma qualche argine pare essersi rotto, come testimonia il tessuto socio-culturale assolutamente eterogeneo e privo di colore politico che, di quel corteo, faceva parte (solite furberie rimestate a parte).
Un corteo è, per sua stessa natura, un corpo dinamico capace di snodarsi con agilità e sintonia delle parti in ogni suo movimento, rispecchiando fedelmente quel comune denominatore che avvicina le coscienze, limitandone la fisiologica forza d’attrito, senza, per questo, soffocarla sul nascere.
Un’entità priva di crisi, conflitti, antitesi, produce stasi, ed il mostro inghiotte gli inermi. Così, ben venga anche questa possibilità di un referendum, caldeggiata, tra gli altri, dal Prof. Fabio Matacchiera, di cui già parlammo qualche post fa, e che, oggi, torna con un comunicato stampa nel quale ribadisce una realtà dei fatti che, ancora una volta, ci fa sentire umiliati valvassini di un ingranaggio invincibile e frustrante.
In una città preda di devastanti e diversificate emorragie, il diritto di esprimere democraticamente la propria opinione dovrebbe essere parte integrante di un processo, altrimenti, destinato al fallimento. Non si discute sulla libera scelta del sì o del no, ma sull’opporre resistenza ad un’istanza nata dal basso, ben più vera delle numerose e tracotanti verbosità di talune primedonne pronte a vender l’anima, pur di liberare il proprio fumo (dannoso quasi quanto quello del colosso siderurgico) da quell’importante palco.  
Questo coro, che, sulla carta, all’unisono, urla contro l’Ilva ed il suo signore Non vengo, sopravvivo e re(si)sto può abbattere la cultura del Vado, mi ammazzo e non torno solo ricordando e custodendo il valore aggiunto della polifonia.