mercoledì 16 settembre 2009

Il crisantemo appassito sulla giacca lisa della democrazia


Taranto non sfugge ai crolli demografici, segnati da un'inversione di tendenza delle nascite. D'altronde, chi può permettersi di far figli, in una città marchiata a sangue dalla disoccuppazione? E chi, a cuor leggero, concepisce nuove vite, consapevole di una non fantomatica e paranoica, ma realissima possibilità di andare a finire i propri giorni nel futuro, più grande polo oncologico del Sud Italia (sarà vero, poi? e quanto ci costa questo triste primato?).
In tempo di paradosso, in cui accade l'esatto contrario di quello che la logica si aspetterebbe, di disgustoso trionfo di una barbarie affaristica ed individualista, di un'egemonia della carne, a dispetto di una, invece, auspicabile svolta che tiri dalla cima dei capelli l'italietta che affonda, il Teatro dell'Assurdo è pronto a mettere in scena una nuova pièce, la cui regia è affidata a Stefania Prestigiacomo, Ministro dell'Ambiente di questo Governo tronfio e scriteriato.
La Signora in questione, dopo l'acerrima battaglia degli ambientalisti tarantini, appoggiati dal Presidente della Regione Nichi Vendola, capitola, e l'1 luglio inaugura l'impianto ad urea dell'Ilva, una prima, timida speranza di liberazione da un destino potenzialmente mortale. Non la soluzione, ma almeno un paletto all'arroganza imprenditoriale ed al laissez faire delle precedenti amministrazioni locali.
14 settembre 2009: la Signora firma nove decreti VIA (Valutazione d'impatto ambientale) che (secondo lei e lei soltanto, tendenzialmente) favorirebbero lo sviluppo economico e ambientale del nostro paese. Tra i pareri positivi, ignorando bellamente l'opposizione della Regione Puglia, la centrale termoelettrica di Taranto, nella raffineria Eni (progetto Enipower). Parere positivo? Firma? Sviluppo economico ed ambientale? Nuovi posto di lavoro? Industrializzazione?
Crisantemo appassito, altro che fiore all'occhiello, visto che la realizzazione di questo aberrante progetto comporterebbe un ulteriore aumento delle emissioni di CO2, gas serra, di cui Taranto detiene il record nazionale amplificato dalla presenza dell’Ilva. 
Vien da pensare che, evidentemente, Taranto, agli occhi di questa gente, rappresenti nient'altro che una città mercenaria, priva di capacità d'intendere e di volere, un porto franco in cui venire a sfogare ogni capriccio estemporaneo, una riserva di manodopera operaia e nient'altro, una vecchia meretrice che si prostituisce a basso prezzo. Un locus senza dignità.
Dal Comitato per Taranto, partono già le prime forme di reazione e protesta, attraverso un comunicato stampa efficacemente al vetriolo, mentre Alta Marea invita a prepararsi ad una nuova mobilitazione come quelle del novembre scorso.
L'insonnia dello spirito non dovrebbe darci tregua, rendendosi urgente e foriera di una riflessione sulle nostre sorti future. O dobbiamo rinunciare per sempre al diritto di fare un progetto a lunga scadenza, senza temere che le nostre speranze vadano ancora una volta deluse?

(foto di  Fabrizio Castagnotto)

sabato 12 settembre 2009

Beni (in)Stabili

Prima domenica di settembre. Decido di provare il mio nuovo obiettivo a focale fissa. Coinvolgo un paio di persone che mi facciano da modello ed assistente. C'è vento. Vola di tutto. Compreso il mio vestitino ancora estivo. Ma c'è anche un pò di sole. 18 circa. La location scelta per questo abbozzo di fotografia urbana è il Centro Direzionale Beni Stabili.
Quando, da piccola, vivevo nel Rione Tre Carrare Battisti, con mia madre, percorrevo quasi quotidianamente questa piazza. I grattacieli si ergevano come spettrali e futuristiche cattedrali in un deserto di palazzi qualunque, anonimi, poco entusiasmanti. Pur nell'ingenuità dell'infanzia, mi rendevo conto di trovarmi di fronte ad uno spazio a sè, rispetto ad un'architettura urbana spesso miserevole, o pacchianamente sfarzosa, o, peggio ancora, fatiscente. Le veneziane che scorgevo dai piani alti mi davano la sensazione di trovarmi di fronte ad una piccola Manhattan, rimandando delle immagini vicine ai fotogrammi dei film americani, in odore di yuppismo, degli anni ottanta. 
A completare il quadro di nicchia metropolitana, il sottopassaggio di Piazza Dante, all'oggi ancora esistente. Immaginavo vite patinate, manager in Armani, segretarie bellissime anche con gli occhiali, vita d'ufficio dinamica e frizzante. E poi, di notte, al di sotto, auto lanciate in corsa verso una mondanità fluorescente e ridanciana.
Alcuni anni dopo, l'allocazione del mio Liceo in un altro quartiere, ed il cambio di residenza nella periferia della città, affondano nell'oblio il ricordo di quel luogo, sfocato ancor più dall'aver frequentato l'Università in un'altra città
Il ritorno a Taranto e l'uso dell'automobile, giocoforza, mi inducono ad utilizzare Via Dante Alighieri e, quindi, passare dinanzi e al di sotto del Centro Direzionale Beni Stabili. E' di nuovo curioso amore.
Ma misto a rimpianto, perchè, oggi, ciò che resta di quell'isola di presunto edonismo è il comando della Polizia Municipale, la biblioteca "Domenico Acclavio", la sede provinciale della UIL e il comando provinciale della Guardia Forestale.
Io, però, cerco di raccogliere i cocci di quel passato, senza tralasciare le estreme, eppur intense, sfumature dell'oggi, ed allora isolo una porzione dei gloriosi grattacieli, che mi siano da sfondo, e  scendo giù, senza omettere stickers e murales che, a modo loro, rinnovano un processo di comunicazione per troppi anni ridotto al silenzio dal coma profondo nel quale cadde il Comune di Taranto.
Resta un'essenza opaca, ma viva, che, a guardare ed "ascoltare" attentamente,  sarebbe disposta ancora a mettersi in gioco, restituendoci il nostro sogno d'urbanesimo post moderno.

martedì 1 settembre 2009

Prof. Biagio Lorè R.I.P.

La morte. Nebulosa lontana, inavvicinabile, apice dell'umana tristezza. Deprivazione d'essere e furto del poter dire. Invincibile, e molesta. Imprevedibile e quindi scaltra. Perchè sottrae al Sè ed all'altro. E, di pari passo con la consapevolezza, la percezione si fa pesante come ghisa, di lacrime d'acciaio.
Ho conosciuto il Prof. Biagio Lorè nel 2003, presentandomi alla selezione per il Servizio Civile Volontario all'Unione Italiana dei Ciechi. Allora, eravamo ai primordi di quest'importante passo nel progresso sociale del Governo (uno dei pochi provvedimenti "illuminati" mai presi prima), e c'era da scegliersi l'Ente presso cui far domanda. Avevo 25 anni, laureata da 2, non confusa, ma indecisa sul da farsi. Vado a visitare un'Arci a Grottaglie, ma ciò che vi trovo è una stanza spoglia e polverosa, con 4 anziani che giocano a scopa. Il posto mi comunica un senso di passiva rinuncia che, immediatamente, mi sconforta. Ho voglia di spendermi. Ho voglia di pervenire ad una qualche forma di concretezza. Torno a casa e scorro nuovamente l'elenco: Unione Italiana dei Ciechi Onlus, Sezione Provinciale di Taranto.
Ho deciso. Dal colloquio emerge un'affinità di studi con quest'uomo completamente privo di vista, ma imponente ed importante nell'aspetto, dal vocabolario forbito eppur mai saccente, dalla voce cava ma mai disturbante, dall'empatia gentile e mai invadente. Nella graduatoria, sono la prima della lista, su decine di candidate. Sono felice, e non per vanità, ma perchè, senza che nessuno mi abbia spinta, sono lì, compresa e stimata. Sono la sua collaboratrice per quasi un anno. Durante le nostre piacevoli conversazioni, emerge un ricordo di oltre un ventennio. Il Prof. Lorè mi chiede se qualcuno, nella mia famiglia, si chiami Matilde. Rispondo di sì. Matilde era mia zia. Mi chiede di lei, andando a ritroso e raccontandomi di questa brillante e complessa studentessa di molti anni prima. Gli dico che è deceduta nel 1984, a 27 anni, di cancro. E' una coincidenza bella e triste, che mi fa pensare nulla accada a caso e che questa prima esperienza "lavorativa", forse, sia stata mediata da un angelo.
Collaborare con il Prof. Lorè è fonte di inesauribile stimolo a comprendere l'altro ed esercitare al massimo la propria volontà, piuttosto che trascinarsi stancamente durante l'esistenza. Il Professore, malgrado una cecità totale acquisita per un grave incidente domestico occorso in tenera età, è una persona di gran forza interiore, volitiva, capace di impegnarsi su più fronti: insegnante, assessore e consigliere, tiflopedagogista, ed anche pianista. Marito, padre e, non da troppo tempo, nonno.
Il nostro rapporto prosegue anche dopo il civile, durante il mio servizio in qualità di educatrice presso lo stesso ente, in cui  lui è il Coordinatore del progetto nel quale vengo inserita.
Le riunioni mensili sono lunghe e complesse, e non per amor di prolissità, ma perchè il Prof. Lorè ha il dono dell'ascolto e del problem solving per ogni singola istanza esposta, capta al volo le esigenze altrui (le nostre e quelle dell'utenza), lotta per sbrogliare la fastidiosa matassa di una burocrazia sempre pronta ad intralciare il servizio offerto all'utenza.
L'ultima telefonata del luglio scorso. Ho un dubbio postomi dalla mia utente, e lo cerco. Sua moglie mi dice che è al piano di sotto, a tener compagnia al fratello malato. Ci risentiamo prima di cena. Tutto risolto, come sempre, con l'augurio di buone ferie.
Lo aspettavo io, in questa prima settimana di settembre. Sarebbe rientrato a lavoro ieri. E ieri sera è morto. Un ictus. Il pensiero, quella mirabile lucidità, si appanna sino a scomparire. Per sempre.
Quando mi ha chiamato il Segretario Sergio, dopo pranzo, pensavo si trattasse di uno scherzo, scambiandolo per il mio amico avvezzo alla goliardia telefonica. O forse, dentro di me, senza saperlo, rigettavo da subito? "Mimma, non hai saputo cosa è successo?" Rispondendo di no, già avevo capito.
Purtroppo.
Resta una foto in b/n, scattata in analogico, senza rumore, durante una riunione. Il viso è disteso ed attento, le mani giunte,  il colletto della polo in perfetto ordine. Come sempre.
Perdo un maestro.