giovedì 30 luglio 2009

Operazione recupero: Le pettole di Riva

Avevo scritto questa breve nota per segnalare l'importante reportage di Carlo Vulpio sul mastodonte siderurgico di Taranto.

Le nuvole son belle. Piace pensare che, da grandi, quando prenderemo l’aereo, apriremo il finestrino per staccarci un pezzo di quello zucchero filato sicuramente più squisito di quello acquistato dall’omino del luna park, qui sulla terra.
E le nuvole, da noi, hanno la forma delle pettole, frittelle dolci/salate che inaugurano le tavole pre-natalizie e che, miracolosamente, all’alba di S.Cecilia, vagando per la città vecchia, in attesa della Banda, qualche ristoratore frigge impavido nel gelo, di fronte al mare.
Ma le nuvole possono essere, qui come in qualche diverso altrove, minacciosamente grige e gonfie di dolore, come nuovi vasi di Pandora.
Carlo Vulpio, ex giornalista del Corriere della Sera, ed ex docente presso il Corso di Laurea in Scienze della comunicazione pubblica, sociale e politica dell’Università Statale di Bologna, partendo da un’immagine apparentemente poetica, si addentra nella nebulosa oscura meglio nota come Ilva, per aggiungere al nodo cruciale, costituito dal conflitto salute vs occupazione, nuove, preoccupanti verità. Non è bello imparare coattamente il disincanto, rispetto allo zucchero filato ed alle pettole, ma è forse necessario.

mercoledì 29 luglio 2009

Operazione recupero: (Ri)nati il 1° luglio?


Ho scritto quest'articolo, che recupero per una sorta di dovere sociale e civico, nel giorno dell'inaugurazione dell'impianto ad urea all'Ilva. Il titolo è a metà strada tra la provocazione e la necessità di comprendere la reale, positiva entità dell'evento.

La storia è nota. Una favola di pettole grigie ad offuscare la nitidezza del cielo, di strani, inquietanti odori generalmente notturni, di una vocazione medica a divenire polo d’eccellenza oncologico, per via di una moria che va a falcidiare il tessuto demografico della città, di un patimento da cui soltanto negli ultimi anni si cerca di venir fuori. E per chi c’è dentro, storie di ordinario mobbing, morti bianche, minacce di licenziamento, cassa integrazione, ed il costante fiato sul collo di un prezzo da pagare per la sopravvivenza attraverso la merce di scambio dell’umiliazione e gli spiccioli di una costante insoddisfazione.
Quando di lavoro si muore dentro e fuori dalla fabbrica.
L’afflato politico non c’entra, è una questione di fondamentali diritti umani, sanciti da una miriade di trattati internazionali, e violati per anni, giocando l’astuta carta della disoccupazione.
Taranto è una delle città più inquinate d’Europa. È una tortura psicologica esserne consapevoli, ma è il punto di partenza per una reazione collettiva che ha avuto un ruolo di vitale importanza per quel processo capace di portare ad un dato di fatto.
Oggi, alle 10.30, il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, alla presenza del Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo (malgrado un suo iniziale atteggiamento di contrasto rispetto ad una fattiva risoluzione del problema) inaugura l’impianto ad urea che servirà a contenere le emissioni di diossina, la sostanza killer sinora dispersa in concentrazioni elevatissime nella nostra città, ed oggetto del reato da cui è partito il movimento di sensibilizzazione popolare risultato determinante nell’applicazione della bramata Legge Regionale Anti-Diossina, provvedimento capace di aggirare ogni residuo tentativo di furberia da parte del patron Emilio Riva, che, nell’ottobre scorso, cercava di prendere ancora tempo, provando a posticipare la realizzazione degli impianti di un anno.
L’emozione è forte, e la partecipazione di alcune delle Associazioni che, il 29 novembre scorso, data topica, densa di significato per ogni abitante di Taranto, hanno dato vita alla manifestazione organizzata dal movimento “Alta Marea”, momento di raccordo collettivo nel marciare contro il maggior inquinatore della città, è viva anche stavolta. Alle 9.45, infatti, di fronte alla Direzione dell’Ilva di Taranto, ci sarà un sit in cui Ail, Comitato per Taranto, PeaceLink, Legambiente, Wwf ed ogni libero cittadino porranno l’accento sull’importanza di un monitoraggio costante, da svolgersi 24 ore su 24, scongiurando ogni pericolo di possibile gioco delle tre carte da parte di Riva.
1 Luglio 2009. Dopo un travagliato concepimento, stiamo per ri-nascere?

domenica 26 luglio 2009

Operazione recupero: I ♥ Pessoa


Questo articolo è dedicato ad un'occasione mancata di confronto e scambio interculturale con un poetico turista portoghese, malamente aggredito nel Borgo Antico di Taranto.

Esistono, al mondo, diversi tipi di viaggiatori. Gli amanti della terra, che restano fedelissimi alla ferrovia; i tipi d’aria, con le dita costantemente sulla tastiera alla ricerca di un incredibile low cost; i nostalgici di Love Boat, bramosi di navigare in placide e super-accessoriate acque e di indossare l’abito sberluccicante per il valzer col capitano; gli uomini-camper, orgogliosamente padroni del proprio viaggio, mediato solo da una cartina stradale; gli stakanovisti dell’auto, chiusi nei propri abitacoli, con i condizionatori a palla, lanciati in un’instancabile corsa verso mete vicine e lontane.
I mezzi di locomozione sono molti. Le possibili interazioni e combinazioni geografiche anche. Quando, nel 2001, sono stata a Lisbona, osservando un tessuto sociale multi-sfaccettato, colorato, denso ed intenso, sospeso tra semplicità e complessità, sfuggente e fascinosamente pulsante, mi sono chiesta se ci potesse essere una qualche forma di affinità con noi italiani, parenti alla lontana, pro-cugini per il tramite dei vicini cugini spagnoli. Mi sarebbe piaciuto somigliare ai portoghesi, capaci di vivere la post-modernità custodendo, al contempo, un passato di marinara gloria, a differenza della nostra facile tendenza all’oblio, lo stesso con cui ci si lancia verso nuove sfide seguendo l’immediata strada del rinnegare, piuttosto che del coltivare.
Anch’io desidererei cenare serenamente al fresco del centro storico, e poi, dopo, andare a bere un fruttato liquore in distilleria. Ma devo farlo con circospezione, perché il mio Borgo Antico, a volte, è cattivo (o in-cattivito?).
Il mio scrigno sentimental-reazionario, improvvisamente, è dischiuso da un accadimento singolare, e desolante. Leggo di quest’uomo portoghese, che immagino esile, pacificato con se stesso e con il mondo, neo-romantico e commovente nella scelta di una bicicletta quale mezzo di locomozione, indipendente dalla velocità dell’aereo e dalla comodità del bancomat. Quest’omino che, miracolosamente, si trova nella mia città, e che, sì, avrei voluto incontrare sulla mia strada, per il piacere dello scambio e per un’istintiva forma di empatia. Ed invece mi sento spiazzata, delusa, umiliata dalla brutalità di un atto compiuto verso chi giunge in pace, e può rappresentare occasione di stimolante confronto transnazionale oggi, come non mai, così necessario ad una forma di auto-consapevolezza delle proprie potenzialità e alla lotta contro il costante pericolo della rassegnazione.
Vorrei andare in Ospedale e scusarmi con lui, chiedere venia della miseria interiore che depreda, figlia di una povertà economica, a sua volta partorita dall’indifferenza culturale, spiegargli che quell’incantesimo di miracolosa bellezza che si verifica, di sera, sulle banchine della discesa Vasto, rivela, a volte, lati oscuri, ferini, di antica violenza. E se lui mi chiedesse “di chi è la colpa?”, piuttosto che stilare un lunghissimo elenco di amministratori, enti pubblici e privati, poteri illeciti di ieri oggi e domani, a testa bassa risponderei: “della nostra storica riluttanza ad amare ciò che ci appartiene”.

(foto da vooila.com)

sabato 25 luglio 2009

Operazione recupero: Lo stecco del maxistecco


Inizio dal recupero di alcuni degli articoli ai quali tengo di più, scritti per quella gente un pò disattenta.
Qui, ad inizio stagione, rifletto sul preannunciato degrado delle spiagge tarantine e sul paradosso di due mari ed una solo bandiera blu.

Oh, ma che bella notizia!
E allora? Dovremmo gioirne no? Certamente, ma la bella stagione è anche questo:
Secchi colorati, pannolini sporchi, bottiglie di vetro ridotte in mille pezzi, falsamente invisibili cellophane che avvolgono i pacchetti dei crackers (si cerca di essere light anche nello sporcare), kleenex ambiguamente usati, coppette di coppa del nonno, stecchi di maxistecco, lattine tagliate in modo che rendano bene il loro lavoro (come minimo recar segni per i quali passare almeno un mese con gli arti fasciati), frammenti di oggetti non facilmente identificabili ma ugualmente vistosi ed ingombranti e, sì, chi più ne ha più ne getti.
Giusto per amor d’oggettività: km di litoranea decantata, agognata, idolatrata ed una sola spiaggia a meritar la Bandiera Blu? Annosa querelle, questa: colpa degli amministratori che, da deformazione professionale, guardano e si accontentano (e pretendono che ci si accontenti un po’ tutti) solo della superficie oppure di tutti quanti noi, fruitori talmente liberi da disporre delle spiagge come invitati ebbri ad un dionisiaco banchetto (tanto ci saranno pure gli inservienti degli dei a ripulire per noi)?
L’importante è apparire.
Il paradosso di posseder due mari, ed una sola, negletta bandiera blu.

giovedì 23 luglio 2009

La libertà bianca dell'unicorno


Qualche mese fa. Mi permetto di essere felice, perchè, evidentemente, qualcuno sa guardare oltre la coltre eterea della rete, e comprendere che le parole hanno un peso non sempre volatile, intuendo che, forse, paradossalmente, qui tutto lascia tracce ed è meno effimero di un foglio di carta.
Inizio a scrivere con entusiasmo e positiva motivazione in qualità di local blogger per il progetto-pilota di Virgilio in 15 città italiane. Tra cui, sì, anche la mia negletta e complessa Taranto.
Ci sono delle linee guida, all'apparenza nemmeno troppo stringenti, per esempio, se è il caso, posso anche superare le 2000 battute che mi sono massimamente concesse.
Non è un problema, solitamente non sono troppo prolissa. Inizio con entusiasta dedizione, cercando, tra le pieghe del quotidiano, ciò che sfugge alla stampa ufficiale, oppure, al massimo, va a finire in un trafiletto di poco conto. Cominciano ad arrivare i primi commenti. Bene. Vuol dire che, forse, i risultati son prossimi a venire. Ma, inaspettatamente, mi giunge anche il primo richiamo dal "capo".
Il mio stile è considerato "alto", troppo dotto rispetto alle intenzioni iniziali del contratto.
La mortificazione è a portata di mano. Ancora una volta mi metto in discussione (ma è la mia regola aurea), mi chiedo se davvero quel gusto della lingua, quell'imbastire mondi con le parole, quel piacere che è giocoso non mi tenda trappole, in fin dei conti.
Non potendo essere mai assolutamente obiettivi con noi stessi, decido di domandare in giro, di "testare" la comprensione dei miei post, sottoponendone la lettura a diversi target di persone.
Tutti comprendono. E tutti sono esterrefatti.
La società mediatrice cerca di negoziare, si va avanti per un pò, con il paradosso di un "capo" che rigetta, al cospetto di lettori entusiasti e statistiche (visto che la si metteva anche sul piano delle statistiche) confortanti.
Bene, io proprio non ce la faccio a strangolare lo spunto sul nascere. E soprattutto ad impoverire volutamente il mio modus operandi.
Ancora qualche giorno, e nebulose di incertezza.
Ed infine la risposta. Evidente incompatibilità non solo culturale, ma anche umana, direi, tra me e Virgilio.
Ed ora? Come unicorno alato, bianco, puro, libero e pacificato, non ingaggio guerre fini a se stesse, ma decido di abbandonare quel tetto stretto ed angusto, e apro casa, con tante finestre, spazi ampi, pochi essenziali arredi, piccoli gingilli di una vita qui. Dove, finalmente, torno padrona della mia gioia di scrivere e condividere, secondo dei parametri di libertà ed onestà intellettuale, validi per me stessa e per chi deciderà di seguirmi.
Chi, poi, ha non solo occhi, ma anche cervello per apprezzare la volontà di informare senza imbavagliare, e cuore per leggere tra le righe quanto il lavoro di redazione sia una diversa forma di educazione al criticismo, allo scetticismo (quando necessario), alla consapevolezza, piuttosto che atto di auto-celebrazione, servilismo, strumentalizzazione di un qualche potere, si avvicina di sicuro alla lettura più efficace.
Nient'altro da aggiungere che, nel bene e nel male, non si racconti da sè.
Io resto qui.

(foto di Daltramontoallalba)