domenica 9 agosto 2009

La Torre di Lucia






Andando al mare...

Avevo già dichiarato altrove il mio amore per le scogliere. La sabbia, di questi tempi, è più sporca che mai. Il contatto con le piante dei piedi, spesso, equivale ad una camminata sui carboni ardenti, alla maniera di Giucas Casella con Mino Damato. Solitamente, poco dopo la battigia, a luglio ed agosto, l’acqua, per qualche metro, assume un colore giallognolo poco invitante. Molti Super Santos, racchettoni, bambini piagnucoloni, frigoriferi mobili gonfi d’ogni genere alimentare, e tanto rumore (per nulla). Ecco perché scelgo la roccia. Mi infilo un paio di ciabatte studiate per l’occasione, porto con me l’indispensabile (acqua minerale, prima di tutto), qualcosa da leggere e sono pronta. Scelgo la scogliera compresa tra Saturo e Porto Pirrone, al centro tra le due spiagge, così brulicanti di gente, da sudarne solo a guardare. L’ubicazione del mio locus è problematica, mi costa una lunga camminata tra automobili, sdraio, comitive di adolescenti esuberanti, in alternativa ai 2.50 euro quotidiani del parcheggio, ma ne val la pena quando c’è l’adorata tramontana che tutto distende e rinfresca. Per arrivare al mio scoglio preferito, utilizzo l’entrata del Parco Archeologico di Saturo. E vorrei le sorprese finissero lì. Ma devo, ancora nella prima decade di questo agosto, essere testimone forzata di un colpo d’occhio non piacevole.
A partire dall’ingresso, devo fare attenzione a non affondare il mio piede in un tombino scoperto, su cui continua ad ingigantirsi una mostruosa muffa arancione. Procedo, ed il sentiero che mi condurrà al mare, immerso in un’auspicabile pineta, si presenta, invece, tristemente abbandonato a sé, con i residui rami secchi, lasciati lì da un giardiniere forse svogliato e dormiente. Se alzo gli occhi al cielo, i faretti che dovrebbero illuminare la Villa Romana, di cui riesco a leggere con fatica brevi note su di un cartello corroso dal tempo, sono per lo più divelti o mancanti. Ad alcuni metri dalla meta, mi trovo di fronte alla Torre Costiera, costruita dagli Aragonesi nel XVI secolo D.C. La maestosità ne viene compromessa da alcune, profane scritte sentimental-popolari (“Lucia ti amo”), che campeggiano da ogni lato. Può bastare? Non proprio. Restano delle palizzate semi-distrutte, che sicuramente non possiedono la facoltà dell’auto-manutenzione. Come tutto il resto, d’altronde. Eppure le serate all’Art Cafè, il punto di ristoro del Parco, mi sembrano copiose di eventi e colme di utenti. I drinks non hanno prezzi molto popolari. Se io non desidero nulla, devo comunque giustificare con un ticket la mia presenza all’interno del localino. Ed allora, se la Pubblica Amministrazione promette e non mantiene, proprio non viene fuori un gruzzoletto che permetta di coprire i tombini, raccogliere i residui secchi della pineta, comprare nuovi faretti, riparare le palizzate, sostituire i cartelli sbiaditi e cancellare i messaggi d’amore dalla Torre Costiera? E qualche manica rimboccata, insieme ad una piccola forma di auto-tassazione della gerente Cooperativa Polisviluppo (che si occupa anche del suddetto punto ristoro) pesa come una delle settime fatiche di Ercole?
Aspettiamo che cadano le stelle per emettere l’ardua sentenza.
P.s. Se solo una singola parola costasse quanto un mojito…

1 commento:

  1. infatti, non è per niente un bello spettacolo attraversare il parco archeologico tenuto in quello stato di abbandono!

    speriamo gli interessati rimedino al più presto.
    m.

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