martedì 1 settembre 2009

Prof. Biagio Lorè R.I.P.

La morte. Nebulosa lontana, inavvicinabile, apice dell'umana tristezza. Deprivazione d'essere e furto del poter dire. Invincibile, e molesta. Imprevedibile e quindi scaltra. Perchè sottrae al Sè ed all'altro. E, di pari passo con la consapevolezza, la percezione si fa pesante come ghisa, di lacrime d'acciaio.
Ho conosciuto il Prof. Biagio Lorè nel 2003, presentandomi alla selezione per il Servizio Civile Volontario all'Unione Italiana dei Ciechi. Allora, eravamo ai primordi di quest'importante passo nel progresso sociale del Governo (uno dei pochi provvedimenti "illuminati" mai presi prima), e c'era da scegliersi l'Ente presso cui far domanda. Avevo 25 anni, laureata da 2, non confusa, ma indecisa sul da farsi. Vado a visitare un'Arci a Grottaglie, ma ciò che vi trovo è una stanza spoglia e polverosa, con 4 anziani che giocano a scopa. Il posto mi comunica un senso di passiva rinuncia che, immediatamente, mi sconforta. Ho voglia di spendermi. Ho voglia di pervenire ad una qualche forma di concretezza. Torno a casa e scorro nuovamente l'elenco: Unione Italiana dei Ciechi Onlus, Sezione Provinciale di Taranto.
Ho deciso. Dal colloquio emerge un'affinità di studi con quest'uomo completamente privo di vista, ma imponente ed importante nell'aspetto, dal vocabolario forbito eppur mai saccente, dalla voce cava ma mai disturbante, dall'empatia gentile e mai invadente. Nella graduatoria, sono la prima della lista, su decine di candidate. Sono felice, e non per vanità, ma perchè, senza che nessuno mi abbia spinta, sono lì, compresa e stimata. Sono la sua collaboratrice per quasi un anno. Durante le nostre piacevoli conversazioni, emerge un ricordo di oltre un ventennio. Il Prof. Lorè mi chiede se qualcuno, nella mia famiglia, si chiami Matilde. Rispondo di sì. Matilde era mia zia. Mi chiede di lei, andando a ritroso e raccontandomi di questa brillante e complessa studentessa di molti anni prima. Gli dico che è deceduta nel 1984, a 27 anni, di cancro. E' una coincidenza bella e triste, che mi fa pensare nulla accada a caso e che questa prima esperienza "lavorativa", forse, sia stata mediata da un angelo.
Collaborare con il Prof. Lorè è fonte di inesauribile stimolo a comprendere l'altro ed esercitare al massimo la propria volontà, piuttosto che trascinarsi stancamente durante l'esistenza. Il Professore, malgrado una cecità totale acquisita per un grave incidente domestico occorso in tenera età, è una persona di gran forza interiore, volitiva, capace di impegnarsi su più fronti: insegnante, assessore e consigliere, tiflopedagogista, ed anche pianista. Marito, padre e, non da troppo tempo, nonno.
Il nostro rapporto prosegue anche dopo il civile, durante il mio servizio in qualità di educatrice presso lo stesso ente, in cui  lui è il Coordinatore del progetto nel quale vengo inserita.
Le riunioni mensili sono lunghe e complesse, e non per amor di prolissità, ma perchè il Prof. Lorè ha il dono dell'ascolto e del problem solving per ogni singola istanza esposta, capta al volo le esigenze altrui (le nostre e quelle dell'utenza), lotta per sbrogliare la fastidiosa matassa di una burocrazia sempre pronta ad intralciare il servizio offerto all'utenza.
L'ultima telefonata del luglio scorso. Ho un dubbio postomi dalla mia utente, e lo cerco. Sua moglie mi dice che è al piano di sotto, a tener compagnia al fratello malato. Ci risentiamo prima di cena. Tutto risolto, come sempre, con l'augurio di buone ferie.
Lo aspettavo io, in questa prima settimana di settembre. Sarebbe rientrato a lavoro ieri. E ieri sera è morto. Un ictus. Il pensiero, quella mirabile lucidità, si appanna sino a scomparire. Per sempre.
Quando mi ha chiamato il Segretario Sergio, dopo pranzo, pensavo si trattasse di uno scherzo, scambiandolo per il mio amico avvezzo alla goliardia telefonica. O forse, dentro di me, senza saperlo, rigettavo da subito? "Mimma, non hai saputo cosa è successo?" Rispondendo di no, già avevo capito.
Purtroppo.
Resta una foto in b/n, scattata in analogico, senza rumore, durante una riunione. Il viso è disteso ed attento, le mani giunte,  il colletto della polo in perfetto ordine. Come sempre.
Perdo un maestro.

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