domenica 26 luglio 2009

Operazione recupero: I ♥ Pessoa


Questo articolo è dedicato ad un'occasione mancata di confronto e scambio interculturale con un poetico turista portoghese, malamente aggredito nel Borgo Antico di Taranto.

Esistono, al mondo, diversi tipi di viaggiatori. Gli amanti della terra, che restano fedelissimi alla ferrovia; i tipi d’aria, con le dita costantemente sulla tastiera alla ricerca di un incredibile low cost; i nostalgici di Love Boat, bramosi di navigare in placide e super-accessoriate acque e di indossare l’abito sberluccicante per il valzer col capitano; gli uomini-camper, orgogliosamente padroni del proprio viaggio, mediato solo da una cartina stradale; gli stakanovisti dell’auto, chiusi nei propri abitacoli, con i condizionatori a palla, lanciati in un’instancabile corsa verso mete vicine e lontane.
I mezzi di locomozione sono molti. Le possibili interazioni e combinazioni geografiche anche. Quando, nel 2001, sono stata a Lisbona, osservando un tessuto sociale multi-sfaccettato, colorato, denso ed intenso, sospeso tra semplicità e complessità, sfuggente e fascinosamente pulsante, mi sono chiesta se ci potesse essere una qualche forma di affinità con noi italiani, parenti alla lontana, pro-cugini per il tramite dei vicini cugini spagnoli. Mi sarebbe piaciuto somigliare ai portoghesi, capaci di vivere la post-modernità custodendo, al contempo, un passato di marinara gloria, a differenza della nostra facile tendenza all’oblio, lo stesso con cui ci si lancia verso nuove sfide seguendo l’immediata strada del rinnegare, piuttosto che del coltivare.
Anch’io desidererei cenare serenamente al fresco del centro storico, e poi, dopo, andare a bere un fruttato liquore in distilleria. Ma devo farlo con circospezione, perché il mio Borgo Antico, a volte, è cattivo (o in-cattivito?).
Il mio scrigno sentimental-reazionario, improvvisamente, è dischiuso da un accadimento singolare, e desolante. Leggo di quest’uomo portoghese, che immagino esile, pacificato con se stesso e con il mondo, neo-romantico e commovente nella scelta di una bicicletta quale mezzo di locomozione, indipendente dalla velocità dell’aereo e dalla comodità del bancomat. Quest’omino che, miracolosamente, si trova nella mia città, e che, sì, avrei voluto incontrare sulla mia strada, per il piacere dello scambio e per un’istintiva forma di empatia. Ed invece mi sento spiazzata, delusa, umiliata dalla brutalità di un atto compiuto verso chi giunge in pace, e può rappresentare occasione di stimolante confronto transnazionale oggi, come non mai, così necessario ad una forma di auto-consapevolezza delle proprie potenzialità e alla lotta contro il costante pericolo della rassegnazione.
Vorrei andare in Ospedale e scusarmi con lui, chiedere venia della miseria interiore che depreda, figlia di una povertà economica, a sua volta partorita dall’indifferenza culturale, spiegargli che quell’incantesimo di miracolosa bellezza che si verifica, di sera, sulle banchine della discesa Vasto, rivela, a volte, lati oscuri, ferini, di antica violenza. E se lui mi chiedesse “di chi è la colpa?”, piuttosto che stilare un lunghissimo elenco di amministratori, enti pubblici e privati, poteri illeciti di ieri oggi e domani, a testa bassa risponderei: “della nostra storica riluttanza ad amare ciò che ci appartiene”.

(foto da vooila.com)

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