giovedì 20 maggio 2010

La poltrona empatica

18 maggio.
Taranto, Piazza della Vittoria, poco prima delle 23, come recita il Corriere del Giorno.
Non ho avuto modo d'acquistare il quotidiano, ma ho ricevuto il link della discussione aperta su Facebook, sulla bacheca del giornale.
La bottiglia di birra vuota, lo ammetto, non mi esalta. Non è mia abitudine produrre rifiuti e lasciarli in luoghi pubblici. La presenza di quella poltrona, invece, mi fa sorridere di flebile speranza. E mi fa scuotere con rassegnazione il capo, di fronte all'evidente, ennesimo autogoal di una Pubblica Amministrazione che boccheggia tra l'incomprensibilità degli atti e l'urgenza di andare a fare la spesa.
Di sera, dopo cena, passeggerei sempre, se solo me ne fosse concessa la possibilità.
La prospettiva d'andare a posare i glutei per tre ore sulla sedia di un localino, a sbevazzare e ingurgitare noccioline americane, mi procura un fastidioso senso d'asfissia.
Mangerei volentieri il mio gelato al centro di una piazza gremita, piuttosto che sedendomi al tavolino triste di una gelateria.
Me ne andrei a leggere e organizzare il lavoro, nella pausa pranzo, all'aria aperta, senza preoccuparmi delle occhiate spudoratamente interrogative dei passanti.
Potrei fare tranquillamente a meno del cellulare e dei social network, per sapere dove sono i miei amici, piuttosto che cercarli nell'etere o in un intasato locus virtuale.
Sinteticamente, auspico la normalità.
Una normalità non troglodita, rannicchiata sul glorioso ricordo di un tempo che fu e che ciclicamente mi viene raccontato dai più grandi che vi parteciparono.
Un continuum di cui quella poltrona è  rivendicazione di un diritto: il diritto di fruire dello spazio pubblico, miseramente arredato con panchine incandescenti d'estate e gelide d'inverno. E nient'altro.
Non sto pensando nemmeno alla non-bellezza dell'arredo, poichè anche l'estetica non è univoca ed unidirezionale, ma colgo e gioisco di un gesto creativo ed empatico.
La poltrona raccattata arreda una piazza immiserita d'umanità e porge una seduta confortevole a tutti.
La poltrona è creativamente di tutti.
E quel monopolio appiccicato dalle cimici ai nuovi poveri ed ai sinistroidi è l'ennesimo escamotage per ingoiare il frutto con tutto il nocciolo del problema, perdendosi nelle lande desolate di un perbenismo che stringe sempre più il cappio al collo, piuttosto che allentarlo.

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