giovedì 1 ottobre 2009

Il Nuovo Impero dei Cinesi Falsi e Cortesi



Non per amor di minuzia. E nemmeno per facezia. Ma neanche per il gusto del particolare.
Solo perchè, di mezzo, ne vanno i bambini.
In tempi di crisi, anche un vestiario di buona qualità diventa un piccolo lusso. Se prima c'erano i mercati rionali ad offrire una valida alternativa, nel cambio di guardaroba, oggi l'egemonia dell'ambulante è sostituita da un nuovo trend: la cineseria applicata anche all'abito. Sino a qualche tempo fa, il made in China si infiltrava nei grandi franchising e nel commercio al dettaglio. Oggi, raggiunta una certa leadership nel risparmio, si estende al vero e proprio negozio.
Le vetrine di questi store pullulano di imitazioni capaci, a volte, anche di strappare un sorriso benevolo, per via di quella sfacciataggine maldestra nel voler, comunque, offrire l'alternativa al sogno altrimenti irrealizzabile di possedere l'oggetto del desiderio. Entrare in uno di questi punti vendita è un'esperienza surreale. Scarpe barocche, nei propri tacchi e vernici, borse in vilplastica (chè la vilpelle sarebbe troppo), decorazioni in paillettes finto swarovsky à go go, fantasie improbabili ed accostamenti cromatici mai visti prima. Camerini, d'estate, con i ventilatori alla massima potenza, piuttosto che condizionatori d'aria. E, su tutto, un odore peculiare, con cui la naftalina c'entra ben poco, o se esiste, quella prodotta in Cina, deve essere un composto di diversa ed oscura entità. Cinese anche la musica mandata in filodiffusione. Cinesi, naturalmente, gestori e commessi. Gran gentilezza e discrezione, per carità, ma, forse, tendenza a bypassare allegramente il rispetto di alcune, fondamentali norme di sicurezza, se è vero questo.
L'estro di un laccetto sulla magliettina dei vostri bimbi, potrebbe costituire, con la mancata laurea di alcuni pediatri e la facile predisposizione al rischio pandemia, un ulteriore fonte di pericolo.
Il Nuovo Impero dei Cinesi Falsi e Cortesi.

4 commenti:

  1. Fosse, fosse dico!, il mercato scoperto del made in Cina il picco massimo di pericolosità sociale a cui sembrano destinarci le aperture colpevoli e complici dell'Occidente verso un mondo di produzione, quello cinese, che cammina sotto più profili sul filo dell'illecito.
    Almeno il consumatore avrebbe, come nella realtà ha, il potere di scelta (informata, per giunta, essendo noto urbi et orbi che il prodotto cinese viene generalmente confezionato in modo non compatibile con le norme di sicurezza CEE).
    Invece c'è di più, assai di più. Ed è un quid pluris tanto più pericoloso quanto occulto e strisciante. Perché non si fa fatica a supporre che, nei deliri della riduzione del costo di impresa, molti articoli immessi nel mercato come made in Europe siano di fatto stati partoriti nelle "fucine" della "perfida" Cina.
    In tal caso, il consumatore non avrebbe, come in effetti non ha, potere alcuno di scelta, vagando cieco, destinatario di un'orgia di mercato che lo ammazza alle spalle.

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  2. Infatti, rovistando all'interno dei franchising ma anche di qualche negozio "italiano", è facile imbattersi in un prodotto che di "made in europe" ha ben poco, ma che reca, al contrario, etichette europee.
    credo che, in questo caso, in qualche modo, magari utilizzando la nostra capacità di distinguere la reale qualità dalla millantata produzione, ci si possa salvare.
    Basterebbe una spesa non troppo istintiva, ma attenta, magari successiva ad un'analisi apparentemente maniacale di un capo.
    Il problema, invece, si pone urgente rispetto all'alimentazione. Gravati dal disastro ambientale, non siamo nemmeno più liberi, ad esempio, di comprare le arance di massafra, o l'uva di grottaglie.
    forse non resta che coltivare un piccolo orto ben coibentato.

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  3. Anche nel settore alimentare, per lo meno quello agricolo, la soluzione è semplice, a portata di mano, per quanto presumibilmente possa immaginarsi indigesta al mercato complessivo.
    Banalmente non si tratterebbe che di azzerare le filiere (responsabili di “anabolizzare” i prezzi e polverizzare il rapporto tra produttore e consumatore finale).
    In sostanza, non si tratterebbe che di mettere in diretto contatto chi produce e chi crea, saltando tutti gli anelli intermedi.
    Soluzioni del genere – fuori e al fianco della più nota alternativa di vendita della Coldiretti – sono collaudate e vittoriose nel centro-nord, generose anche nel rendere praticabile dall’interno un rilancio dei prodotti locali.
    Resta l’incoveniente dei prodotti più lavorati, il cui ciclo di produzione sfugge appunto ad una verifica diretta e penetrante.

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  4. La possibilità di approdare ad un rapporto "dal produttore al consumatore", come giustamente osservi già radicata dal centro-nord, è quanto di più auspicabile possa accadere, soprattutto in un territorio a vocazione agricola come il nostro (malgrado la grande imprenditoria tenti di gettare fumo negli occhi con la falsa promessa di un altrettanto falsa vocazione industriale, e la stampa viziata (s)parli di retroportualità).
    In questo baillame, dove ci si ritrova a coltivare per tradizione famigliare, piuttosto che per reale gioia di una nobilissima attività, non ci si aggiorna e ci si accontenta di "campare", mentre, fuori, tutto gira intorno. Ecco perchè ho sempre meno fiducia nella volontà dei nostri coltivatori.
    Questo discorso vale anche per la pesca e, sì, per il prodotto complesso.
    Come sempre, gettiamo quasi con piacere alle ortiche ciò che realmente siamo.

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